Bressingham – Diario di una volontaria Giorno 2

Stamattina mi alzo prestissimo, piena di energia al pensiero di mettermi alla prova e, non trascurabile, alla vista della bellezza che mi circonda. La mia amica Judith vive in un antico fienile in legno con tetto di paglia (si, proprio il thatched roof), circondato da un antico fosso medievale a difesa del maniero (adiacente) di cui il fienile era parte integrante. Dalle mie finestre vedo un grande Salice piangente che dà ristoro alle anatre che qui hanno scelto di vivere, una siepe di tasso con delle splendide rose che sbucano impertinenti, ed un Pyrus salicifolia pendula che spesso viene confuso con un ulivo se visto da lontano, e che trovo invece molto piú bello ed interessante dell’ulivo sia per forma che per colore – è proprio argentato. Il primo che ricordo di aver mai visto era a Sissinghurst, nel giardino bianco di Vita Sackville West; chi viaggia con me sa che tranne questo salice e la struttura architettonica del luogo – Sissinghurst mi dice ben poco, lo trovo un luogo molto commerciale e ormai senza anima.

Puntualissima arrivo al capanno degli attrezzi dove ieri Adrian mi disse che mi sarei potuta cambiare, usare il bagno e lasciare zaino e bici. Ma al mio arrivo nel capanno c’è un giardiniere scontrosissimo che mi impedisce di usare il capanno per via del Covid-19. Cerco di fargli capire che non può pensare che io faccia 2 km per usare il bagno del garden centre – immagino già la programmazione delle soste tecniche… non credo di voler aggiungere questo stress alla mia giornata. Gli dico di si e poi uso il suo bagno, rischio consapevolmente di passare per la solita italiana che non rispetta le regole, ma non vedo alternativa. Lui si scusa. Bene, meglio così. Un po’ stranita me ne vado a trovare il mio mentore per farmi assegnare i lavori di oggi, speranzosa per la mia schiena.

Ahimè conferma che devo riprendere in mano l’Oxalis. Gli chiedo se mi può far lavorare con uno dei giardinieri (magari NON l’integralista con cui ho appena avuto il battibecco ) tanto per capire come usare gli attrezzi e lui dice che questa settimana gli servo qua a Foggy Bottom, perchè c’è tanto lavoro prima delle riprese. Dalla prossima settimana penserà a come fare per farmi lavorare con i giardinieri del Dell Garden. Va bene, io sono a sua disposizione e sebbene le mie ernie mi parlano a mò di diavoletto portandomi verso la negatività, decido di fidarmi di quest’uomo. Avrà un disegno in mente. Sono qui per un mese, non mi lascerà da sola ad estirpare erbacce per tutto il tempo. Rischio la depressione. Sono qui anche per far parte di una squadra, per imparare, per confrontarmi, per parlare. Poi alzo lo sguardo e mi sciolgo dalla bellezza infinita. Non posso fare a meno di pensare che Adrian sia un genio per aver creato un giardino così grande, vario ed interessante a bassissima manutenzione: un giardiniere a tempo pieno ed una part-time per 6 ettari densamente piantumati.

Foggy Bottom, il giardino dove sto lavorando in questi giorni, è essenzialmente l’evoluzione dell’esperimento che Adrian ha iniziato negli anni ’70 con le conifere che collezionava da tutto il mondo, ma soprattutto dagli Stati Uniti – dove spesso si recava in lunghi viaggi da vero cacciatore di piante, per raccogliere i semi delle più particolari. Dalle enormi Sequoie alle minute Tsuga canadensis prostrate, il giardino è un catalogo vivente per la selezione ed utilizzo della enorme varietà di piante appartenenti a questa divisione… ma la cosa bella è che negli anni alle conifere si sono aggiunti innumerevoli altri generi di alberi e cespugli fioriti scelti per il fogliame colorato, insieme a perenni e graminacee sapientemente disposti in grandi aiuole fiorite risultando in un giardino del tutto unico, originale, coloratissimo ed estremamente attraente tutto l’anno, in cui è bellissimo perdersi in lunghe passeggiate.

Anche oggi faccio la passeggiata con gamellina a ora di pranzo e scelgo un posto diverso per il mio panoramic lunch.  Lungo il tragitto incontro uno dei giardinieri che lavora nell’altro giardino: Phil. Scambiamo due parole. Mi fa un piacere enorme, è gentilissimo e premuroso, mi si scalda il cuore: sono le prime parole gentili scambiate in questo giardino. Ha 62 anni (gliene davo 10 di meno); mi confessa che non conosce il nome di nessuna pianta, ma noto che ciononostante sa prendersi cura benissimo di tutte.

A fine giornata passa il signor Bloom. Mi dice che domani cambio zona e che farò un lavoro diverso. Gli dico che mi sento un po’ sola a lavorare tutto il giorno in autonomia ma che gli sono grata e che il giardino è bellissimo.

Si sofferma su un Carpino giovane e mi fa notare che sotto la spirale di plastica attorcigliata sul fusto (contro i conigli che quando in inverno non trovano molto da mangiare si nutrono della corteccia tenera di alberelli giovani) ci sono tre polloni nati sotto la linea di innesto. Mi dice che i polloni non andrebbero mai tagliati ma strappati con un movimento verso il basso, evitando di strappare un lembo di corteccia (tipo le pellicine delle unghie). Mi dice che se voglio provare a togliere i polloni, posso farlo quando ho tempo. Non dà mai degli ordini perentori, è proprio molto British, sembra tutto un invito, un suggerimento, un’idea… mi piace molto… ma inizio a scrivermi le cose che mi suggerisce perché si accumulano.

Gli faccio notare che mi son permessa di tagliare i fiori di una campanula poscharskyana che aveva letteralmente soffocato delle bellissime Polystichum setiferum (felci) e lui controllando l’operato mi da ragione sull’aver liberato la felce, ma sottolinea che la campanula è sotto osservazione per la selezione, e in effetti si sta rivelando troppo invasiva. La zona andrà sgombrata ‘some time soon’. In ogni caso, aggiunge, i fiori della campanula non si tagliano, si tirano – una volta sfioriti, in effetti, gli steli si staccano dalla rosetta ed e’ sufficiente tirarli leggermente perché si stacchino. Lasciano la pianta molto più ordinata.

Nota sui Polloni

Nella carriola ho un bastone lungo, una sorta di prolunga su cui posso infilare due dei miei strumenti. L’unico dei due che ho usato fino ad ora è il ‘root slayer’ che si usa per togliere le erbacce a radice fittonante, una sorta di pugnale non affilato con la punta leggermente biforcuta, e proprio questo può essere usato con la sua prolunga per fare leva e strappare verso il basso anche i polloni più grossi. Se il pollone parte da sotto il livello della terra, è opportuno scavare un pochino per farsi spazio e vedere bene dove parte. Strappare il pollone anziché tagliarlo fa si che non ripartano altri polloni sul taglio. Quando torno in autunno voglio verificare la teoria.

Inforco la bici e decido di fare un percorso diverso, più corto e senza tanti camion. Inizio a sentirmi un po’ più in controllo della situazione.

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